Probabilmente poco conosciuti o addirittura trascurati, i toponimi costituiscono a volte gli strumenti guida che conducono ad importanti scoperte. Un territorio privilegiato da questo punto di vista è quello ligure, che tramite alcuni esempi ci può indicare una delle diverse strade che possiamo percorrere per iniziare una ricerca di carattere storico in ambiente alpino. Attualmente viviamo nell’era dei collegamenti in tempo reale, ma quando queste cose non esistevano ed il linguaggio non si era ancora strutturato e solo l’istinto unitamente ad alcuni suoni gutturali erano i soli mezzi che “L’UOMO” aveva a disposizione; esisteva sicuramente e forte il desiderio di vivere in comunità, nonché la necessità di scambiare esperienze e di organizzarsi in gruppi per sopravvivere in un ambiente del quale non si conosceva nulla. Anche allora, millenni or sono, l’uomo sentiva indubbiamente come prioritaria la necessità di scrutare se stesso e l’universo, ma non aveva ancora strumenti adatti; allora conosceva solamente la “PIETRA” ed attraverso questo materiale lanciò i propri messaggi ai suoi simili e a coloro che li avrebbero seguiti. Nella preistoria dunque e comunque sino a tempi relativamente moderni, lo dimostrano le recenti incisioni scoperte in Val Brembana, le montagne erano luoghi di culto e ad esse venivano attribuiti nomi di divinità che sono giunti sino a noi. Gli uomini quindi raggiungevano le vette e gli altopiani, salendo dalle le valli non solo per cacciare o disboscare. Principalmente rivolsero lo sguardo alle sommità come se le stesse rappresentassero la terra, ossia la fonte di ogni bene. Per l’uomo primitivo osservare l’assoluta regolarità del sorgere del sole alternata alle fase notturna, implicava probabilmente la presenza di una ignota potenza. Ad ogni fenomeno naturale venne associata una divinità, un ente superiore, evidenziando quindi una forte dipendenza dalla natura e dalle sue risorse; natura che ancora non si intuiva come manifestazione di un unico e grandioso equilibrio. I liguri, alla pari di altre popolazioni alpine, praticavano culti naturalistici semplici. Solo con la romanizzazione avvenne l’associazione fra l’antica divinità con quella più affine di origine romana o greca. Rimane comunque il mistero del perché l’uomo primitivo affidò la propria spiritualità alla pietra: evidentemente meditava sulla vita e sul desiderio di non morire mai, cioè sull’immortalità sia del corpo ma forse ancora di più del propio pensiero. Nelle civiltà passate spesso la montagna era la dimora delle divinità, sembra quasi banale affermarlo, ma dopo aver visitato molte delle vette liguri o averne almeno percorso le valli limitrofe, tale affermazione prende via via consistenza ed importanza. In Liguria esistono alcuni sentieri affiancati da incisioni rupestri e questo sta a significare che una efficiente rete sentieristica esisteva gia migliaia di anni fa. Tuttavia l’archeologia non è l’unica risorsa che ci può avvicinare a simili temi. Affrontare esclusivamente sotto il profilo archeologico un simile argomento è praticamente impossibile, ricerche mirate in questo senso non sono mai state condotte , complice il disagio dei luoghi e l’assenza di chiari riscontri sul terreno… Tuttavia alcuni studiosi, ricorrendo alle antiche cronache, scavando nella mitologia locale e facendo ricorso ad altre discipline come la toponomastica e l’antropologia, sono effettivamente riusciti a far emergere dalle nebbie del nostro passato questi affascinanti culti ed i luoghi ove essi venivano praticati.
DA JOVI POENIO A BAIGORIX: IL CULTO DELLE VETTE
In Liguria compaiono spesso montagne e località legate alla radice “pen”. Sopra Genova troviamo i monti: Pennello e Pennone ed in Val Pennavaira: la Rocca delle Penne ed il Pizzo delle Penne, il passo del Bracco era l’antica Alpe Pennino ed ancora sulle pendici del Monte Antola. Posto sulla direttrice Genova Piacenza, è situato il borgo di Pentema. I romani assimilarono il culto del dio Pen al culto di Giove con i titoli di Poenio, Jovi Poenio e Jovi Maximo Poenio, anche Virgilio nell’Eneide attribuisce il culto delle vette e delle selve ancora a Giove unitamente ad un Pater Appenninus. Non sempre però tale toponimo è associabile ad un culto, infatti è da sottolineare che spesso i romani definivano montem apeninum, il monte dalla cresta più alta di un singolo comprensorio. Baigorix, dio pirenaico della lotta, lega il propio nome sia al monte Bego, (70.000/80.000 incisioni rupestri) che al Beigua. Nel gruppo del Beigua compaiono altre due vette legate a culti: il monte Ermetta ed il monte Tarinè, associati rispettivamente ad Ermete (Mercurio) e Taranis: nome di derivazione celtica nonché divinità legata al tuono ed al fulmine. A Taranis o Theutates è legato anche il massiccio del Mongioje, dove in una zona tenuta a pascolo denominato Thoria presso Viozene, venne rinvenuta una colonnetta votiva con iscrizione funeraria romana. Il massiccio del Mongioje ricorda un poco la nostra Presolana ed è importante anche per la presenza di un antica via commerciale e forse anche di culto (le mongioje, in ligure sono le colonnette votive in pietra lasciate dai pellegrini medioevali) che raggiunge i 2500 metri di quota. Altro gruppo piuttosto importante è il Sagro, (Carrara) dove su di una sua vetta secondaria è stata rinvenuta una edicola dedicata contemporaneamente a Giove, Ercole e Bacco. Sul monte Colma (culmen, sta per vetta predominante) sono apparse tracce di un manufatto preistorico; sul monte Penna troviamo indicazioni di presenza umana dal neolitico sino ai romani e sulle sue pendici compaiono segni di antiche vie intagliate nella roccia che sicuramente sono prive di ogni funzione di transito; ed ancora sono portati alla luce bronzetti votivi sull’Alfeo, sul Penice e sul Mondragone, dove in settembre presso il santuario ivi presente si svolge un pellegrinaggio interregionale che ci riporta ai rituali celtici. Ma altre ancora, senza essere direttamente legate a divinità particolari sono le montagne liguri associate a culti preistorici, per cui praticamente quasi tutto il territorio montano di questa regione è interessato da simili ed eblematiche espressioni.
IL CULTO DEI BOSCHI E DELLE ACQUE
Come per le montagne e per le rocce, anche i culti delle acque o dei boschi sopravvissero a lungo: ancora nel concilio di Tours del 567 si constatava come la figura di Cristo nelle Alpi era ancora praticamente sconosciuta. Fra le varie divinità del panorama ligure troviamo addirittura Nettuno, che non ancora consacrato a dio del mare era tuttavia venerato lungo la valle dello Stura, del Gesso e del Vermegnana. Divinità legata al culto dei boschi era invece Bormano, nell’area di Diano Marina, attraverso fonti antiche si è potuto identificare un’area a lui dedicata posta fra Cervo e Capo Berta; anzi si ritiene che Diana, il cui legame con il bosco appare ovvio, abbia sostituito il primitivo dio indigeno nella sua forma femminile, dando origine al nome della nota località marittima. Altre divinità erano: Robeone e Rubacasco, legate ancora allo Stura; Silvanus, noto sopratutto nel luneense, nelle cave apuane e nel nizzardo ed infine Apollo ricordato in un’ara votiva rinvenuta nella zona di Vallecrosia. Sempre legate al culto dei boschi non sono da dimenticare le meravigliose ed enigmatiche statue stele della Lunigiana, dalla selva di Filetto infatti ne provengono addirittura undici. E’ da citare inoltre il culto delle Ninfe (cippo dedicato alle Naiadi, presso Velleia) o di Minerva: nella bassa Val Trebbia, presso Travo, sono stati ritrovati una ventina di cippi e lapidi dedicati alla dea. Infine non possiamo di certo dimenticare quello che appare il più sconcertante “tempio” dedicato alle acque, quello di Pietra Perducca, nelle vicinanze di Travo, dove presso la chiesetta di S. Maria troviamo coppelle, canaletti e addirittura vasche scavate nella roccia, che se associate ai vicini ritrovamenti archeologici, potrebbero far risalire tali manufatti all’epoca del bronzo.
DA NOI
In bergamasca lo studio dei toponimi non è molto diffuso anche perché non è di certo facilitato dal nostro dialetto che è un intreccio linguistico molto difficile da districare. In alcuni casi si riesce comunque a ripercorrere una strada. Il toponimo forse più antico, senza dimenticare quello di Berg Hem: l’antica Bergamo, è quello legato al monte Duno, posto nelle vicinanze di Zogno: si tratta di un insediamento gallico del quale, a causa della presenza di abitazioni moderne, rimangono sole poche tracce. A nord di questo rilievo vi è il monte Castra: in questo caso si tratta di un insediamento romano anticamente servito da un acquedotto che scendeva dalla Roncola e del quale sono visibili ancora adesso alcuni tratti: probabilmente con le opportune cautele se ne potrebbe portare alla luce qualche altro tratto. Abbiamo anche quattro luoghi denominati tutti come Monte Bastia: il più noto lo troviamo sui Colli di Bergamo anche se pochi probabilmente riescono a collegare questo luogo a connotati preistorici. Cosa abbastanza incredibile è rappresentato dal fatto che il Monte Bastia di Scanzo conservi ancora parte del vallo difensivo. Fra i toponimi più recenti, si fa per dire, vi è quello di Ruck, luogo posto sopra Petosino. Questo termine è di origine gota e sta ad indicare un terrazzamento atto alla coltivazione, proprio come il sito che porta questo nome. Fra i termini più conosciuti vi invece quello di Bareck, probabilmente anch’esso di origine celtica. Il Bareck è un recinto in pietra costruito per porre al sicuro le mandrie. Troviamo molte di questi manufatti distribuiti in tutta la bergamasca e sui crinali montuosi valtellinesi. Il fatto abbastanza insolito è che su questi ultimi di fianco ai Bareck troviamo anche i Caleck: si tratta di muretti in pietra che venivano ricoperti con teli per proteggersi dal freddo e dalle intemperie: in bergamasca, ripeto non si è trasmessa questa limitrofa tradizione. Valgoglio invece è sovrastato dal Monte dei Pagani sulle pendici del quale vi sono due baite con tale nome, il fatto che proprio al centro della valle lungo il sentiero che attraversa il torrente, il sottoscritto vi abbia rinvenuto, dopo lunghe ricerche, alcune insolite coppelle di forma rettangolare, sta ad indicare che anche da queste parti la preistoria ha lasciato il proprio segno: ma di questo, forse, un giorno o l’altro ne parlerò più estesamente in un appropriato articolo. Insolite anche le due sculture apotropaiche inglobate nel muretto della parrocchiale: un altro interrogativo da chiarire. Non bisogna dimenticare neppure la ben più nota Grotta dei Pagani, posta sotto le balze della Presolana Occidentale. Non ho ancora visitato questo anfratto ma sembra che in questo luogo siano stati ritrovati utensili da scavo romani. Anche l’appellativo stesso di Presolana riporta a tempi antichi. La leggenda dice che qui venne catturato il re Alano, da cui il nome del massiccio: in effetti il popolo degli Alani, in parte invase l’Italia settentrionale ed in parte proseguì per la Spagna raggiungendo addirittura le coste del Sud africa. Vi sono altri due toponimi abbastanza ben celati ma che potrebbero aiutaci nello svelare il nostro passato. Il monte Aga domina i declivi della Baita Armentarga dove sono stati rinvenute eccezionali incisioni rupestri. Le aiguane erano legate al culto delle acque: non è detto che queste divinità ed il nome di questo nome non siano in qualche modo collegati. Anche per il Visolo, posto a sud del massiccio principale della Presolana, potremmo effettuare qualche ipotesi. Il Monviso eredita il proprio nome da un termine latino che sta per monte visibile ed isolato. Anche il nostro Visolo è un monte “visibile” ma staccato dal massiccio principale: magari anche in questo caso il tepo passato ha lasciato il segno. Da ultimo vorrei citare il così detto “Castel Reino”posto alle pendici del Pizzo dei Tre Signori. In Piemonte vi sono alcuni toponimi simile ed allora sarebbe a mio avviso utile capirne il perché, sul luogo non sono stati svolti scavi archeologici, ma sembra che in periodo medioevale qui sorgesse una torre di osservazione. Ricordiamo che anche in questi luoghi la preistoria ha lasciato il segno con ben due ripari sotto roccia, uno risalente all’età del bronzo posto sulle pendici del Camisolo ed addirittura ad un sito ancora più remoto, tuttora esistente, situato alle baite di Sasso, poco sotto l’omonimo laghetto.