La domanda è sempre quella: perché vai in montagna? Viene posta a tutti, sia che si tratti di appassionati o di ardimentosi professionisti. La risposta è scontata: per passione. Così per passione si affrontano le creste nevose più insidiose o gli spigoli più aerei o si abbandona la propria famiglia per una mattina o per mesi. Passione e istinto sono le due parole chiave e l’alibi per trascorre qualche ora all’aria aperta. Ma si tratta proprio di questo ? forse! Quella dell’andare in montagna per “passione” è stata anche la mia risposta per molto tempo. Almeno sino a quando non ha incominciato ad attrarmi la necessità di capire quali erano le mie origini, da dove arrivavo, chi mi aveva preceduto e quali strade aveva percorso. Sono insomma approdato lentamente verso un aspetto forse a volte trascurato della montagna: quello della presenza preistorica dell’uomo sulle nostre Alpi. Sopra al Col di Tenda, a duemila metri di altezza, si apre la ” valle delle Meraviglie”. Lassù i ghiacciai quaternari hanno creato scenari incredibili. Grandi onde di roccia si alternano a pareti verticali. Innumerevoli superfici levigate mostrano tonalità che vanno dal verde al violetto e all’arancione. Su queste rocce troviamo più di 40.000 fantasiose figure incise dal neolitico sino all’epoca romana. Pastori, cacciatori, maghi, guerrieri o pellegrini hanno lasciato il loro indelebile ed enigmatico segno. Anche attorno a Pinerolo, sui versanti del Gran Truc, in Val Germanasca e nel vallone di Pramollo, troviamo altre incisioni. Ogni area è caratterizzata da toponimi caratteristici. Troviamo così: il Rocio d’ la Fantino (roccia della fata), Alpe del Lauzoun (roccia del mago), Rocio Clapier (distesa di rocce e roccette franate) , Pietra Eicrita (pietra scritta) ed ancora Rocio Veglio (roccia antica). La spiegazione di questi segni propende verso l’interpretazione religiosa, considerata la posizione dominante di molte roccette incise (affini con i massi dell’isola di Creta utilizzati per cerimonie di culto), ed è anche forse possibile distinguere fra l’ altare di tribù che presenta grandi concentrazioni di coppelle e piccoli altari privati. L’area legata al Rocio Clapier, connessa con l’interpretazione religiosa, ci potrebbe riallacciare alle recenti scoperte archeologiche della nostra Alta Val Brembana, dove appunto, coppelle e canaletti appaiono incisi su massi “dominanti” franati o ammassati dall’azione dai ghiacciai, come del resto la Pietra Eicrita ci riporta alla notissima e purtroppo vandalizzata Pietra Scritta del Monte Beigua (Liguria).
Ma chi erano i nostri predecessori, non conoscevano ancora la parola e neppure la scrittura, tuttavia hanno manifestato attraverso la propria arte, sia una spiccata curiosità verso i segreti della volta celeste che li sovrastava, sia verso il propio mondo interiore. A Susa alla base degli archi delle terme graziane, troviamo incise profonde coppelle unite da canaletti. Da Chinale, cittadina situata poco sotto il colle dell’Agnello (3000 metri slm) che ci collega con la Francia, attraverso un percorso che si mantiene sui 2500 metri di quota, raggiunto il Col de Longet (2650 msl) ed oltrepassata la Caban du Rayne, a 2450 metri slm, possiamo ammirare addirittura alcune pitture rupestri, incisioni di vario genere e la raffigurazione di “pugnali” remedelliani risalenti alla prima età del rame. Dal Moncenisio, raggiunta Lanslevillard ed il rifugio de Vallonbrun, a 2730 msl, possiamo raggiungere la “Pierre aux Pieds”. Si tratta probabilmente della pietra incisa posta a quota più elevata di tutta l’Europa. Qui sulla superfcie superiore di questo grande masso erratico vi sono incise coppelle ed ottanatadue impronte di piccoli piedi, delle quali settanta accoppiate. Le orme sono riconducibili a quelle di un neonato e sono poste in direzione delle cime di maggior spicco. Tali impronte, comunque diffuse anche in Liguria ed in Valcamonica, sembrerebbero rappresentare il passaggio dei pellegrini.
Dove vivevono i nostri predecessori, con quali difficoltà e a quali risorse attingevano, cosa li aiutava ad affrontare le mille insidie della natura. Chi scopriva i metalli e le nuove risorse, chi apriva nuovi sentieri e con quali criteri ? Si è trovato traccia di roghi votivi all’alpe di Siusi, sullo Sciliar, Al Grossglokner e persino a St. Moritz. Altre incisioni sono comparse in Val Moriana, in Val Chiusella, nel Vallese, in Valtellina ed in Val Camonica; in Trentino, sul Lago di Garda, all’ Aprica e sugli Altipiani di Asiago. Gli uomini della preistoria ci hanno indicato il cammino, pianificando con sentieri e piccoli agglomerati urbani i territori che tutti noi frequentiamo, con un anticipo di almeno cinque millenni. Tutti i pascoli, le sorgenti, gli alpeggi ed i terreni disboscati, sono stati strappati alla natura con fatiche infinite. Da loro ci arriva la possibilità di usufruire delle piante commestibile e la trasformazione di molta fauna selvatica in animali domestici o comunque utili alla vita dell’uomo. Inoltre hanno strutturato credenze che comunque trasformate, continuano a vivere ancora oggi. E’ dunque probabile che tutto questo costituisca una sorta di patrimonio genetico. il nostro istinto dunque e il nostro ardimento col quale affrontiamo le vette e la vita stessa, la nostra voglia di misurarci con la natura, non sono solo frutto quindi di semplice “passione”. Ritengo che si tratti di qualcosa di più profondo e radicato, un qualcosa che ci mette voglia di conoscere, esattamente come accadeva ai nostri antenati millenni or sono.