Mi chiamo Lino Galliani e sono nato a Bergamo nel 1952, passati due mesi da quell’evento la mia famiglia si trasferisce: è il primo di otto traslochi che ci vedrà ritornare a Bergamo solo dopo ventitré anni. Il terzo di questi mi vede frequentare la terza elementare a Cernusco Monte Vecchia, rimango in quel paese un anno soltanto, ed un piccolo amico, poco prima di partire, ricordo, mi regalò un canarino giallo, stavo andando ad abitare in Valsassina, dove sono rimasto a lungo. Quel piccolo canarino, al quale demmo anche una compagna, fu il primo contatto con la natura: si schiudevano le uova, nascevano i piccoli, alcuni morivano mentre regalavo ai miei compagni di scuola quelli che vivevano. Più avanti, ben altri saranno i ricordi che mi rammentano sempre quanto la natura ed in special modo il mondo delle vette ed in particolare quello dell’alpinismo, non perdonino alcun errore o distrazione.
Tuttavia, prima di raggiungere quella valle ho cercato di costruirmi una slitta con alcuni pezzi di legno: pur abitando in pianura era come se la montagna fosse già dentro di me. Nei film a volte si vedono scene di bambini estasiati da luoghi nuovi, effettivamente in Valsassina era a volte così: l’avventura era quotidiana e pur essendo meno robusto dei nuovi amici, ma più agile, mi arrampicavo con destrezza sugli alberi ed ero anche più veloce di loro. Anche la resistenza non mi mancava, mia mamma non sapeva mai dove fossi: in realtà quella voglia inarrestabile di muovermi mi aveva già inconsapevolmente preso.
Anche più avanti infatti, nel periodo dell’università mi alzavo tutte le mattine alle sei, ma mi rimanevano abbastanza energie per le arrampicate e per le maratone: questo fino a quando non mi assaliva un cumulo infinito di stanchezza ed allora bisognava fare qualche conto fra le necessità, le aspirazioni e la realtà sia fisica che mentale di un giovane alle prese con i propri ideali ma anche con i propri limiti. Una forte componente sportiva dunque ha sempre caratterizzato la mia vita, aspetto che alcune volte mi ha esposto anche ad alcuni grossi rischi.
Sicuramente l’essermi trasferito così tante volte, in qualche modo ha influenzato la mia vita e molto probabilmente questa situazione ha innescato quel desiderio di ricerca che ormai non mi lascia mai. Questo peregrinare non mi delude mai, ogni volta trovo qualche cosa di interessante, di nuovo, un piccolo mattoncino da unire a tutti gli altri.
Spesso mi fermo e parlo con le persone, apprendere dall’esperienza di altri è molto bello ed è l’unico modo per imparare qualche cosa. Ma non è sempre stato così. Ad un certo punto, durante questa mia spensierata esperienza per monti e valli, mi sono accorto che mi mancava qualche cosa, il problema era che non capivo appunto cosa. Per questioni di lavoro e di famiglia avevo deciso di abbandonare l’alpinismo ma non era questo che mi creava perplessità, vi era dell’atro.
In effetti stava riaffiorando in me tutto quel mondo che inconsciamente avevo assorbito in Valsassina: gli spazi, i colori, i profumi, la conduzione degli alpeggi, le mandrie, la vita del piccolo rifugio in Biandino, il taglio dei boschi, i grandi silenzi della montagna e le stelle fisse lassù in alto. Erano queste le cose che incominciavano nuovamente a mancare, non più grandi vette quindi, ma la vita vera di una valle e la conoscenza dei luoghi: da allora è incominciata veramente una corsa frenetica che si sta attenuando, forse, un poco solo ora.
Ora, diciamo, sono libero dal lavoro ordinariamente retribuito, dovrei aver a disposizione maggior tempo libero, ma così non è. Verso le sei del mattino, costantemente, inizio la mia attività di ricerca, riordino materiali, scrivo articoli o continui studi intrapresi da tempo e questo indipendentemente dai giorni, che siano feriali o festivi. Ho ripreso, corretto e concluso alcuni diari di viaggio piuttosto corposi, uno su studi ventennali effettuati in Val Taleggio, uno su Bergamo bassa a cavallo del 900 ed uno riguardante la pianura: sul così detto Fosso Bergamasco, antico confine di stato: tutti superano il centinaio di pagine, mentre altri ne ho in cantiere su Bergamo Alta e sulle Valli: chissà mai quando li finirò. Poi vi sono da aggiungere le attività sui social: una novità per il sottoscritto. Oltre a scattare immagini è necessario dunque scrivere, per ricordare a distanza di tempo, cosa è accaduto effettivamente il tal giorno e poterlo tramandare, si spera, efficacemente.
A conclusione di queste note, debbo dire che tutte le varie esperienze vissute mi portano ad affermare che il NUOVO e l’INCONSUETO, sono fuori dalla porta che aspettano. Non serve un aereo per visitare luoghi indimenticabili e particolari, bastano infatti poche e semplici cose, sono sufficienti appunto: CURIOSITÀ ed ENTUSIASMO.
Le “compagne” di viaggio: ho iniziato con una piccola ma strepitosa Rollei 35, comprata, usata e rivenduta dopo undici anni di arrampicate, successivamente sono passato alla mitica e semplice Yashica FX3, quindi alle indimenticabili Contax; poi ho continuato con tutta la serie delle Canon, delle quali ora utilizzo le 5D Mark III e Mark IV.