Sono molto allenato, anzi di più, così in forma non lo sono stato mai. Fra pochi giorni vi è un rally, sono solo, non ho un compagno, decido di partire ugualmente. Chiedo di far parte dell’assistenza, ma è un’ espediente, in realtà io voglio correre, ma non per vincere, voglio corre e basta per saziarmi di montagne e di fatica. Mi sento come un lupo desideroso di spazi sconfinati.
Ma questo è solo un preludio … qualche cosa di “totale” mi aspetta, ma io, ancora, non posso saperlo.
Come è ridicolo osservare il mondo camminare da sé, all’inizio non capivo, m’aprivano lo portiera, salivo, un ronzio sommesso, e la casa ed il giardino s’ allontanavano come d’incanto, le strade, gli alberi i cortiletti via via, sempre più lontano, ogni volta, come se di un grande album scorressero all’insaputa le pagine.
Ora la contrario, alla novità non mi oppongo, me ne sto tranquillo col muso incuneato in quelle quattro dita di finestrino abbassato e me lo spasso un mondo in questo vento artificiale e freddo: uauu come si corre.
Oggi partiamo con lo luna che canta ancora vittoria, lui carica strane assi colorate e piatte su questa cuccia con le ruote: è preoccupato, un poco impacciato forse e a giudicar dal volume del sacco, è probabile che la baita per un po’ non lo vedremo.
Tutto scivola sopra e di fianco a cominciar dalle stelle, alle ancor scure gobbe dei monti, mentre l’acqua scorre zitta nel suo scomodo giaciglio. Qualche sobbalzo poi ci fermiamo, uauu, bianca, ancor gelata, attraente, ci accoglie lo neve, ne faccio un nuvola per saluto, mi ci rotolo, scompiglio l’innocente ordine, s’arriccia il pelo dal piacere, scalcio a pancia a terra, tendo l’agguato al bosco reso ignaro dal sonno, con una corsa pazza getto lo scompiglio, sparisco, ancora il mondo gira, si capovolge con me giù per lo china, rotolo e m’arresto contro la macchina: bum! mi guarda il “pallido” un po’ perplesso.
Partiamo io e lui e lo sua ombra, dal gran sacco deformata, complici e con lo voce dentro lo gola.
Camminiamo l’uno accanto all’altro in mistica riverenza all’alba che si avvicina, capirà lui questo gran rosso, questo falò di gala, misterioso e vasto che bussa ancor timido al confine della terra? Ma non vale, imbroglia l’umano, con quelle assi non affonda, non si inciampa, scivola via lasciando un’ orma continua e dritta. Uauu lo conosco è un trucco del “pallido” per rubar alla salita. Segue paletti con lo parrucca rossa, ma lo sua traccia non si distingue, un largo sconquasso ci accompagna oltre quella cresta, sono curioso, come faranno loro da uno a trasformarsi in molti? Il sole ormai si è scollato dall’orizzonte e sale pigro e sicuro a reclamare il suo giusto posto in quel largo quadro che è il cielo.
Uauu, getto un saluto, lui si ferma, sbuffa, si riempie gli occhi del giorno novello, sorride, ancora uauu ma che bello. Gira le racchette in duello con l’aria, canta e ride, si leva d’impaccio il pallido, ferendo con un gran colpo lo neve e s’avvia: prova speciale, così la chiamano, facoltativa, 300 m in salita a portare il saluto lassù al Baffo, che ci attende a braccia incrociate come un Dio al settimo giorno, dopo lo creazione, col viso incendiato dal sole. Il monte ora a premiar l’insistenza, cambia d’umore, perde di forze e s’inchina. Scivola lui in elegante danza verso il basso, s’arresta, si volta e m’aspetta, poi riprende, che tipo, gran sacco e soldi pochi in gara da solo, non s’è iscritto e per compagno ha preso me. Uauu la lotta s’avanza, s’annuncia spavalda e sicura, là sullo sfondo di questa piana solitaria ed amica, il monte si infossa in gola, si raccoglie e su dritti che l’onore lo comanda a versar come tributo lo fatica.
Lui soffia, sbuffa, regola col respiro il passo, spinge di braccia, rallenta e mena lo testa ed io in risposta la coda. Si ravviva, si rinnova, accompagna l’ansimare con un sorriso stretto; già mille han combattuto, ma ad ogni passo lo scontro riprende, rotola via una borraccia, peccato, ma si stanca ancora il monte, in questa allegra trama e s’arrende.
Procede lui col viso rosso e le vene grosse, ancora due passi, dello zaino si grava, spinge per un attimo lo sguardo laggiù e subito con minor sforzo lo ritira, riprende leggero e sano. Se ne va con calma ora in ampi giri come se gli dispiacesse sprecar metri, lo rincorro rompendo la diagonale: ben altra scherma ci attende.
Vorrei vagare uauu senza fermarmi mai, l’anima mi si stravolge, quanta luce, quanto abbaglio, quanto bianco, mi sazio di spazio, meglio la notte, più leale, serena, più intima, che ti accoglie in strette vesti sicure, puoi fermarti, raccoglierti presso un tronco, fissare una stella ed aspettare che piano piano, con gusto sottile, perda all’alba la vita, e pensarla ancora nel giorno ancor bambino.
Lui è stanco, si ferma, abbandona il sacco, lo fruga, lo rinchiude, lo usa per sgabello, mi accarezza in contropelo, si spreca con una pacca, lo sguardo di traverso e passa. Ormai siamo nel branco, ma a giudicar dalla pista nuovamente distinta e dritta e dai chetati richiami: si direbbe che i cavalieri, in mille forme colorati, abbian tutte le anni spuntate e storte. I più lontani sembran fermi ma scompaiono per incanto e d’improvviso, dietro il colle, silenziosamente, altri seguono trainati da un invisibile filo che loro chiaman complicando le cose: passione.
Spingono e sudano tutti e qualcuno di schianto s’arresta, come se il mondo ora traesse da quello sforzo il moto. Così è la salita quando, in complotto, s’ unisce ad una gemella, ma com’è di legge e norma dopo il su il giù si ripresenta un brusìo dapprima, un clamore nuovo, voci concitale ci chiamano, che branco, che disordine, che festa. Ad intervalli regolari in coppia partono ed al guinzaglio, forzando sulle loro esili braccia metalliche, accompagnandosi con urli giù per il salto. Prova speciale la chiamano in discesa e legati! Uauu che pazzia, s’inciampano, rotolano, cadono, scartano di colpo, rimbalzano su di una buca nascosta, qualcuno si ravviva il muso, piombano troppo forte nel bosco, s’aggrovigliano con le corde, quanta fretta, quanto affanno, arrotano gli sci su quel ponte senza neve vicino alla diga.
Anche lui della fatica liberato, scende e uauu grida una canzone di gioia, è un altro, non lo riconosco, intuisce un tranello nascosto, gioca fra gli alberi del bosco, prende velocità e rema furiosamente per superare il piano. Gli rubo una racchetta cosi per gioco, impreca e sorride lo zoppo, accettando lo novità!
Galoppiamo in lieta amicizia con un sole del cielo ormai padrone, in un giorno d’inverno: sarto comune di tutte le cime. Sono a casa, respiro questo pezzo di mondo, nuoto nell’aria, nell’azzurro, nella viva brezza, nella luce, salto e corro, faccio capriole in questa natura parata a festa: abbaio agli umani colorati, che pagano il pedaggio con la moneta della gioiosa fatica. Uauu che giorno, ma che fa lui, rincorre due di gran lena, li saluta e passa, li sprona, deve essere un altro dei suoi soliti trucchi, risale una china come se avesse ancora cento respiri addosso, a due altri ruba la via, scanna lo neve a mo di boia come se fosse un’assassina, uauu, ci prendono «il tempo» forse per scherzo.
È finita la pazzia, l’animo è calmo, il cuore bussa a gran colpi, lo gioia ritorna, chiara. Salutiamo il Gildo indaffarato, salutiamo tutti con un ciao denso e caldo, un’ attimo di pace, un po’ di ristoro, un’ora o due ad aspettare che anche il sole sia pago.
Lui è inquieto, acceso, lo so, lo conosco, della tappa di domani vorrebbe saziarsi ora, lo si vede, dentro di sé fa conti e sogna, chiede informazioni poi decide, si quieta, si calma e mi carezza.
Passano le voci, passa il vino e passa pure l’ardire che ormai è sera. Uauu, mi tocca di dormir fuori, ma lui ancora sa ancora che un’ attacco s’è rotto e che domani da pari a pari la faremo.
M’addormento tranquillo con questo piccolo segreto in cuore, uauu, cala il sipario delle stelle leggere, si presenta la luna di nuovo a ramazzar nel silenzioso cielo e sola.