CERCARE
L’uomo lo ha fatto per milioni di anni, attraversando addirittura lo stretto di Bering per raggiungere l’Alaska lasciandosi alle spalle la Siberia: lo dimostrano le “spiarali” incise nello stesso modo sia sulle rocce europee che su quelle dello Yosemite
UN MOTORE
Doveva avere un motore, questo nostro progenitore, non alimentato solamente dalla necessità di nutrirsi e di trovare nuovi territori: allora eravamo in pochi e vi era ancora molto spazio. A volte ci si muoveva anche lentamente come dimostra ad esempio il riparo sotto roccia di Alpicella (Varazze) viene insediato nel neolitico medio, subisce un abbandono nell’eneolitico e riprende vita nel periodo del bronzo sino agli albori del periodo del ferro.
In questo contesto: popoli navigatori-agricoltori sbarcano in Liguria portando una nuova cultura, quella dei “Vasi a bocca quadra” contaminando in tal modo i cacciatori-allevatori presenti. (Antico Popolamento del Beigua – Comitato Scientifico Ligure-Piemontese Valdostano – 1990)
Ci si spostava dunque anche attraverso il mare quattro millenni prima di Cristo e certamente nella mente dell’uomo alloggiava anche dell’altro, basta considerare gli ornamenti delle sepolture delle “Arene Candide” sempre in Liguria: si era in un periodo nel quale apparentemente esisteva solo una priorità: quella di sopravvivere.
Cosa ci spingeva dunque in quei tempi ad affrontare pericoli inauditi in territori sconosciuti e comunque a manifestare un gusto per il bello, per il percorso oltre la vita, per il non strettamente materiale legato alle contingenze più immediate? Il germe di tutte le attuali scoperte era già vivo, ne sono sicuro, nelle sue molteplicie più svariate forme.
UNA NECESSITA’
Questo desiderio/necessità ogni tanto si manifesta anche in noi, partiamo e raggiungiamo mete anche molto lontane: ma il “cercare” vero, non legato ad una carta di credito, si riallaccia sicuramente a quegli antichi esodi/ curiosità/ domande ed ogni tanto prende quelle persone che incominciano a “scavare nella storia” senza nessun altro scopo che trovare delle risposte.
NON VEDIAMO
In molti casi non serve recarsi chissà dove: anzi le risposte sono spesso molto vicino a noi, solamente non le vediamo. Certo spostarsi serve per confrontarsi con nuove realtà anche se spesso, purtroppo, non conosciamo neppure le nostre.
FRAMMENTI
Nella pianura bergamasca, ad ogni aratura compaiono frammenti di laterizio, pezzi in cotto di tombe romane presumibilmente ormai distrutte da tempo: almeno così sembrava, ma gli scavi della BRE.BE.Mi hanno portato alla luce necropoli vaste come campi di calcio. In parte lo si sapeva, ma non così su vasta scala: anche un frammento rappresenta quindi un indizio da non sottovalutare ma bisogna comunque notarlo.
SENZA SAPERLO
Il passato è intorno a noi, spesso però, semplicemente non “lo percepiamo”: questo è il dramma, perché anche “senza saperlo” possiamo porre irrimediabilmente fine ad importanti testimonianze storiche, ma non solo, questo vale ad es. anche per le valenze botaniche, non le notiamo o molto più semplicemente non le conosciamo: come in Valtorta quando gli elicotteri in certe “importanti manifestazioni” atterrano tranquillamente sulle pinguicole blu o in Val Vertova dove una bella stradina asfaltata ha posto irrimediabilmente fine ad un magnifico habitat spontaneo.
VEDERE
Attraverso queste poche righe abbiamo comunque introdotto due importanti concetti: quello del cercare e quello del vedere. Mo dove cercare e cosa vedere? Cercare è sinonimo di intuire, ma per intuire e vedere occorre esperienza e per costruirsi un’esperienza occorre tempo, molto tempo, anzi spesso non basta una vita.
UN OBIETTIVO
Il tempo è il fattore principale attorno al quale ruotano tutte le esperienze, tutte le curiosità, tutte le speranze ed anche un certo numero di delusioni. Occorre tuttavia avere uno spunto ed un obiettivo. Il Confine Meridionale Bergamasco meglio conosciuto come “Fosso Bergamasco” (studio del 2012) mi ha impegnato per almeno sei mesi: solo per ricostruirne il percorso esatto. Avevo dunque un’ obiettivo, uno spunto, naturalmente tanta CURIOSITA’, ma non avevo alcuna ESPERIENZA di pianura e non sapevo ne dove CERCARE ne cosa VEDERE: stiamo parlando di pianura, ma alla fine dei conti pianura e montagna, sono così differenti fra loro?
COME INIZIARE?
LE MAPPE
Sono certamente utili, per la bergamasca se ne trovano dal 1400 in poi. La loro consultazione ma soprattutto il loro confronto permette di effettuare importanti deduzioni, ma le mappe a volte aprono altri interrogativi e spesso non danno risposte. Poco a monte del castello delle Marne, sul fiume Brembo, vi è il ponte “del Corvo”. A vederlo sembra un torrione di un castello abbandonato in mezzo al fiume, doveva trattarsi di un’importante manufatto ma nessuna mappa e nessuna ricerca archeologica fornisce indizi su questa singolare ed emblematica costruzione. Anche l’Alta Valle Brembana ripropone gli stessi interrogativi: sulle mappe troviamo solo indicazioni di massima riguardanti le direttrici principali che conducono in Valtellina. Nessun indizio che accenni alle presenze archeologiche dell’ Armentarga o del Monte Fioraro. All’ Armentarga attorno ai 2500 m vi sono testimonianza di “linguaggio Leponzio”: un’unica cultura copriva praticamente tutte le Alpi da noi sino alla Francia, si spostavano solo i pastori delle transumanze? forse. Questi pastori sapevano scrivere? Certamente potevano orientarsi con le stelle, ossia leggevano a menadito il firmamento come se si trattasse di un libro, ma quanto a saper incidere una roccia con le lettere di un arcaico alfabeto …. Vi doveva essere, come dicevo, ancora certamente dell’altro.
I LIBRI
rappresentano l’esperienza di chi ci ha preceduto per cui sono un altro caposaldo dal quale trarre informazioni: il libro è una strada che qualcuno ha percorso prima di noi, con sofferenza ed ostinazione, rappresenta una scorciatoia attraverso la quale si può guadagnare tempo, forse, perché per leggere e documentarsi in maniera adeguata di TEMPO ne occorre comunque e sempre molto.
Inoltre leggendo si può incorrere in un grave errore: quello di dimostrare ciò che noi pensiamo sia giusto anche se a volte la realtà poi è molto lontana … a volte capita.
Per il “Fosso” la documentazione era decisamente scarsa: alcune mappe, ma di carattere troppo generico e la descrizione sintetica di Lelio Pagani: poco, molto poco per un confine così importante.
Anche per i libri vale comunque lo stesso concetto che per le mappe: possono essere utilizzati come confronto.
Su di un mensile CAI, qualche tempo fa, ho trovato la raffigurazione di una piccola croce incisa su calcare. Il graffito mostrava anche quatto micro coppelle poste agli incroci delle braccia della croce stessa.
Per dimensioni e fattura la piccola incisione era proprio identica ad un’altra incisa questa volta sui micascisti della torbiera di Cavizzola (Alta Valle Brembana); dico era, perché ormai il graffito è quasi del tutto illeggibile, ma il mistero rimane: una croce incisa sul calcare degli Appennini è del tutto simile ad un’incisione dell’Alta Valle Brembana: ancora l’azione dei pastori? Una coincidenza? Ma allora da dove venivano “questi pastori”se ci troviamo imparentati con la Liguria ed al contempo con i territori di Matilde di Canossa? Un’altro pezzo di cultura persa nel tempo?
LA RICERCA D’ARCHIVIO
è altrettanto necessaria come la ricerca sul territorio, in generale una sola persona non ha il tempo di esercitare entrambe le attività. In generale le persone che eseguono ricerca d’archivio hanno determinate caratteristiche, magari non camminerebbero per ore con forti carichi, ma egual cosa si può dire di chi lavora sul campo, non starebbe seduto per ore in una biblioteca. Le due figure sono tanto indispensabili quanto complementari.
LE LEGGENDE
non tutte certamente ma alcune nascondono qualche lontana verità.
I TOPONIMI
Ci portano a colpo sicuro, il problema rimane quello di individuarli. In Liguria come mi insegna l’amico Italo Pucci, non ne mancano. In molti altri luoghi delle Alpi sono ripetitivi, in bergamasca scarseggiano, oppure molti non li abbiamo ancora individuati.
Posto poco sopra Almenno troviamo il monte Castra, sede di antico accampamento romano asservito da un’ acquedotto alimentato dalle sorgenti della Roncola (se ne possono vedere ancora due tratti costruiti con frammenti di mattone e calcestruzzo) e poco più in basso a dirupo sul torrente Imagna svetta il monte Duno: antico insediamento celtico.
Di origine celtica anche se denominati con termine di derivazione latina sono anche i cinque monti Bastia (costruire, fortificare), situati uno in Bergamo Alta, un’ altro a Nembro, altri due sul monte Misma ed uno ancora a Villa di Serio dove si conserva per metà l’antico vallo, mentre sull’altra metà vi sono alcune costruzioni che “senza saperlo o volerlo” hanno sotterrato qualche cosa di unico come del resto è avvenuto sia sul monte Ubbione che sul Misma per strutture medioevali: a volte la buona volontà va un pochino frenata.
Anche Bergamo deriva dal celtico ma ormai questo lo sanno quasi tutti.
Pure il toponimo “castello” cela sempre antiche realtà anche se questo nome si è del tutto “italianizzato”. Reperti archeologici sono stati trovati nella località Castello di Piazza Brembana e sino a qualche decennio fa si potevano trovare reperti ceramici di superficie a Castione della Presolana, guarda caso sempre in località Castello
Ma vi sono almeno altri tre toponimi che allargano nuovamente la visuale bergamasca gettando nuovi interrogativi su questo nostro territorio.
Sopra Petosino troviamo un’ agriturismo chiamato Ruck: è un termine ereditato dai goti (rukka- Dizionario etimologico bergamasco – Giovannni cavadini e Cramen Leone)) che indicavano con questo nome un declivio terrazzato appunto dove ai giorni nostri si coltiva la vite. Poi vi è Castel Reino, posto sul crinale che porta al Pizzo dei Tre Signori. Pare fosse una postazione romana ma Reino o meglio Reinò potrebbe derivare da vicende piemontesi legate al basso medioevo. (Tradizioni Alpine – Massimo Centini) e poi voi è il Monte Aga che domina maestosamente l’area delle incisioni dell’Armentarga. Le aigane o agane erano le divinità preposte al controllo delle acque, il toponimo è molto diffuso ancora una volta in Liguria ma potrebbe essere arrivato sino a noi.
Ed in pianura? Sono una realtà i ritrovamenti archeologici posti attorno ai fontanili e sono del tutto emblematici i due castellieri celtici individuati mediante l’utilizzo di foto aeree nei territori compresi fra Cividate e Calcio: quindi abbiamo anche testimonianza di antiche popolazioni ma che non trovano apparentemente riscontro nella toponomastica. Probabilmente occorrerà studiare ancora molto senza lasciarsi trascinare da facili conclusioni.
LA SOVRAPPOSIZIONE STORICA
Non dimentichiamocene mai, l’uomo vive da sempre negli stessi territori. Lungo il corso dei millenni li ha trasformati sino a renderli per certi versi irriconoscibili come ad esempio nelle città. Ma appena si scava si trova sempre qualche cosa come sta accadendo ad esempio in Piazza Vecchia di Città Alta. Queste antiche presenze lasciano comunque traccia. Basta prendere per esempio i valichi alpini, un tempo erano sacri come dimostra quello del Piccolo San Bernardo con: il cromlech ancora molto evidente, strada romana e statua cristiana posizionata su di una colonna ancora romana. Dunque i luoghi di culto pagani sono stati sostituiti da altrettanto piccoli “oratori” cristiani o da santelle spesso situate vicino alle sorgenti. Anche queste ultime nella preistoria erano sacre ed al giorno d’oggi rimangono comunque ovviamente molto preziose. Di questi piccoli oratori troviamo traccia anche in bergamasca (studi eseguiti da Gianni Molinari su mappe degli archivi storici di Milano) o troviamo piccole santelle adiacenti a sorgenti nelle quali si sono trovati reperti litici (monte Zucco).
Sia in montagna che in pianura quindi il filo del tempo non si è mai interrotto: sui valichi si è pregato ma si è anche combattuto per cui si passa in diretta dalla preistoria alla grande guerra senza grandi sforzi e dalla grande guerra a tutta la lotta legata alla Resistenza dell’ultima Guerra Mondiale. In Val Taleggio proprio durante una lezione di “Lettura del Paesaggio” abbiamo trovato sotto un masso alcune armi nascoste dai partigiani: quel masso mi aveva incuriosito da tempo, era come se mi lanciasse dei segnali ma è stata la “curiosità” di un allievo a svelarne il segreto. A Boccaleone, in periferia di Bergamo, proprio vicino alla nuova fiera si nota un evidente boschetto di forma rettangolare: si tratta di un terrapieno antiaereo costruito dai tedeschi: è l’unico rimasto dei quattro presenti in zona. A Cividate, parallelamente alla ferrovia si notano degli avvallamenti anche abbastanza estesi, apparentemente sembrano dovuti a lavori agricoli ma in realtà sono il frutto di intensi bombardamenti aerei.
La storia come possiamo notare è intorno a noi anche se sa “mimetizzarsi e nascondere ” abbastanza bene.
IL LAVORO DELL’UOMO E LA CULTURA CONTADINA
Che bello, ma che bello, qui è proprio bello: è ciò che solitamente diciamo quando giungiamo in qualche alpeggio ben tenuto, in qualche radura o in altri luoghi che esprimono ordine. Sì, è tutto molto bello, ma ciò che non possiamo notare è tutto il lavoro dell’uomo che ha trasformato il paesaggio.
Quantità inimmaginabili di roccia e di terra sono stati spostate nel corso dei millenni per creare nuovi terreni da pascolo sulle nostre Alpi o terrazzamenti da riso o da the su altre montagne sparse qua e là per il mondo. Un destino ed un lavoro comune a culture diversissime fra loro.
Questo lavoro ripeto non lo possiamo vedere o lo possiamo percepire solo in parte. Tanti anni fa quando con gli Alpini e gli Scout abbiamo lavorato a Catremerio, una piccola località della Valle Brembana, ne abbiamo avuto un esempio. Si trattava di rifare il parapetto di monte della mulattiera che conduceva dal borgo al cimitero: appena abbiamo messo mano al muretto è apparso uno strato di pietre che rischiavano di crollare da un momento all’altro. Al di sopra delle pietre vi era uno strato di terra, quello che costituisce tuttora il pascolo vero e proprio, quello sul quale cresce l’erba per l’alimentazione delle mandrie, un lavoro immane, un lavoro di secoli, un lavoro invisibile.
Qualcosa di più tangibile lo si può vedere al di sopra di Gromo dove tonnellate di pietre, forse frutto di una frana, sono state accumulate e formano una grandiosa muraglia per fare spazio al ancora una volta al pascolo.
Anche i barek, per la bergamesca (Kalek in Valtellina), assolvono ad un duplice compito: quello di ripulire e raccogliere le e pietre dei pendii e dare ricovero alle mandrie. Barek e Kalek sono entrambi termini celtici. Questi ultimi, rispetto ai recinti bergamaschi, presentano anche un piccolo ricovero in pietra per i mandriani: non aveva un vero tetto ma veniva ricoperto con pellame o frasche. I barek sono rettangolari o circolari: quale delle due tipologie risale ai tempi più antichi? è un bel problema: forse quelli circolari che presentano sempre una “pietra madre” lungo il perimetro oppure al loro centro come quello del monte Avaro , studiato a fondo dall’amico Adriano Gaspani.
Ma i barek offrono un’altro grosso punto interrogativo: quelli circolari utilizzano pietre in conglomerato e non presentano segni di incisione antica, anche se Adriano Gaspani afferma il contrario per quello del Monte Avaro. Quelli di forma rettangolare sono in scisto, (in dialetto “sass linguent”) oltreché in calcare e presentano (quelli in scisto) piccole coppelle incise o canaletti come le pietre dell’alpeggio di Cavizzola o del bivacco Zamboni. Sin qui potrebbe rientrare tutto nella “normalità” storica o archeologica di questi luoghi. Ma il problema è che ad essere incise o addirittura ad essere “trapanate” da parte a parte sono piccole lastre inserite nei muretti a secco dei vari recinti (passo delle Porta di Azaredo – alpeggio Azzaredo – Baita Predone).
In letteratura non compaiono esempi di tal genere e neppure vale l’affermazione che le rocce “trapanate” servissero per “tenere al palo” piccoli animali. Quello delle lastre forate o coppellate rimarrà per sempre un mistero perché sono di varie dimensioni e quindi di vario peso: si va da qualche etto, (erano presenti attorno alla Casera Azzaredo) per arrivare a quella ritrovata ultimamente, addirittura nel fiume, poco sopra il rifugio Madonna delle Nevi , che pesava addirittura qualche decina di chili.
Oltre tutto questi territori presentano significativi esempi di “sovrapposizione storica” come alla Casera Azzaredo dove vi è una lastra incisa con tre coppelle che a loro volta fanno da base a tre croci cristiane: quasi si trattasse di una rappresentazione idealizzata del Golgota.
Poco prima di Schilpario, in una radura circolare ormai erosa per metà dal fiume vi è un masso magnificamente lavorato a sezione trapezia. La croce che vi troviamo incisa è più recente. Chi ha scolpito quel masso, perché è stato messo lì e con quale scopo: ha qualche legame con i “canali del rame” situati sulle montagne che circondano quella radura?
La presenza di minerali ha da sempre spinto l’uomo verso le alte quote: anche quello delle miniere rappresenta quindi uno dei tanti lavori “invisibili”. Anche qui, in qualche caso diciamo: ma che bello e certamente lo pensiamo quando in quelle della Valle di Scalve possiamo ammirare addirittura una spiaggia fossile capovolta, messa in luce appunto dal lavoro dei minatori che cercavano i filoni di siderite.
Anche gli stupendi pascoli al di sopra di Dossena, quelli che contornano il Monte Vaccareggio hanno la loro “storia invisibile”. In tutta questa zona già frequentata dagli etruschi, gli affioramenti di zinco erano di superficie, così i romani, utilizzando schiavi cristiani decisero di “scorticare” letteralmente tutta la montagna. Ed in pianura? Anche in pianura il lavoro “invisibile” esiste, forse ha richiesto meno sforzo di quello prodotto nel mondo alpino ma sicuramente si è dovuto applicare ugualmente molto ingegno. Lungo il “Fosso” i territori hanno una pendenza di un metro a chilometro eppure l’acqua scorre ugualmente. Una infinità di rogge e canalizzazioni minori solcano ed alimentano tutte queste zone. Hanno iniziato i romani con le operazioni di bonifica e continuano questo lavoro i nostri contadini quando il Serio o L’Oglio straripano.
La pianura inoltre è interamente terrazzata: pertica per pertica, appezzamento per appezzamento, coltivazione per coltivazione, ogni cosa come al solito appare “bella ed ordinata” ma alla base di tutto questo troviamo l’uomo che vive in perfetta simbiosi con il territorio. Certamente oggi si utilizzano i trattori con i rilevatori laser come ultima trasformazione di un lavoro che si tramanda da migliaia di anni e conserva in se tutta la saggezza dei nostri predecessori.
SENTIERI
Rappresentano il filo di sutura della storia ed il canale per lo scambio delle conoscenze. In Val Biandino, alle Baite di Sasso è ancora visibile un riparo sotto roccia che risale al nono millennio prima di Cristo. Il riparo esiste perché l’ho visto ma ammesso che sia così ”anziano”, per arrivare almeno sino all’età del ferro, materia prima che era presente in loco, mancano ancora qualche migliaio di anni: cosa ci facevamo lassù in quell’epoca?
Troviamo un’altro riparo sotto roccia, all’incirca del quarto/terzo millennio a.C. sulle pendici dello Zucco di Cam che guarda dall’alto il rifugio Grassi: siamo già in epoche più comprensibili e soprattutto più vicine a noi dove effettivamente si incominciano ad utilizzare i metalli.
Il monte Misma che presidia Bergamo da Est era un enorme laboratorio litico, nei detriti di una grossa frana avvenuta qualche anno fa si potevano trovare grossi noduli di selce: sono quelli dai quali i nostri predecessori più lontani ricavavano frecce ed utensili. A Parre, ma questo è già più noto, sul finire degli anni 50 dell’800 è stato rinvenuto il così detto “ripostiglio del fonditore” : una tonnellata di “pani” in bronzo unitamente a monili rotti da rifondere. Parte di questo materiale è stato venduto: la fame a quei tempi era fame, mentre qualche frammento è fortunatamente visibile al museo di Bergamo. Notoriamente il bronzo è una lega composta da rame e stagno. Rimane da chiarire la provenienza di quest’ultimo metallo considerato che lo stagno veniva estratto all’isola d’ Elba o addirittura in Inghilterra: chi e come questo metallo giungeva in Alta Valle Seriana? stiamo parlando del terzo millennio a.C.
Nella torbiera del Bivacco Zamboni, “fortunatamente e fortunosamente” è stato ritrovato un raschiatoio in selce, siamo nuovamente piuttosto indietro nel tempo. Sul sentiero che porta all’Alpe Lago, posta a valle e sulla destra del Passo di Cà San Marco, durante una gita di AG, abbiamo trovato una piccola lastra coppellata, una sola in quel pezzo di valle, una specie di tegola appoggiata al bordo del sentiero. Non un masso inciso ben piantato nel terreno: come ha fatto a sopravvivere nel tempo, non vista e neppure dispersa, in un luogo anche abbastanza frequentato?
L’Alpe Vesenda è posta a valle del Passo di Cà San Marco, ma sulla sinistra, non vi sono ancora stato, ma pare che vi siano addirittura dei piccoli menhir.
Allora questi sentieri dove ci portano e soprattutto quanti secoli o millenni hanno? Seguire un sentiero vuol dire “camminare attraverso la storia” “ripercorrendo” se così vogliamo dire, la saggezza dei nostri predecessori. Sì perché un sentiero, specialmente in montagna, attraversa spesso territori e luoghi impervi e quindi occorreva interpretare e leggere il territorio in maniera perfetta per sfruttarne ogni singola debolezza al fine di tracciare un percorso.
Attualmente in bergamasca per raggiungere i vari rifugi e specialmente i crinali confinati con la Valtellina utilizziamo le mulattiere costruite nel 15/18 per le fortificazioni della Linea Cadorna. Tanti altri sentieri sono più vecchi, come quello che sale al rifugio Coca ma che serviva come via di comunicazione fra Bergamasca e Valtellina, ce lo ricorda il così detto Dosso dei Mercanti, posto nelle vicinanze del Bivacco Mambretti: stiamo parlando di alta montagna e di zone difficilmente accessibili anche con le moderne attrezzature, immaginiamoci come potevano essere le cose nel 600 o nel 700.
UN CONSIGLIO
Prendetevi un paio di giorni e salite al rifugio Brunone e da qui successivamente,raggiungete il Passo della Scaletta: superato uno sperone vi troverete in un anfiteatro composto da rocce che vanno dal nero al rosso sino a tonalità viola. In queste rocce noterete alcune gallerie e qualche ricovero ormai ridotto a rudere: qui lavoravano soprattutto d’inverno i nostri minatori. Sono sicuro che se Dante avesse visto questi luoghi ne avrebbe tratto spunto per il suo eccezionale Inferno.
FUORI DAI SENTIERI
La valle Asinina (Valle Taleggio) è forse uno dei posti più impervi e pericolosi che abbia mai frequentato. Apparentemente, tranne quello che da Grasso raggiunge Giopparia, non esistono sentieri o se esistono ci si puoi appoggiare solo un piede per volta perché due assieme non ci stanno, eppure carbonai e boscaioli con doti certamente alpinistiche hanno frequentato e lavorato in questi luoghi. Anche un ricovero ricavato su di una cengetta a strapiombo sul torrente sa tanto di impossibile ed anche le forre che abbiamo sopra la testa, apparentemente sembrano inaccessibili, ma le fumarole delle carbonaie erano visibili un poco dappertutto in questa valle certamente piena di insidie assolutamente da frequentare accompagnati.
Anche sul Misma, molti sentieri non esistono più ma le cave di pietra coti erano presenti su tutti i suoi pendii ed i sentieri di collegamento erano fitti come le curve di livello delle carte geografiche.
Neppure nei boschi sopra Gromo, verso il Portula, quando ero sulle tracce di una fantomatica miniera d’argento che nessuno è riuscito ancora ad individuare, non ho trovato sentieri.
Oppure in Val Infernel ancora sopra Gromo i sentieri non ci sono più, eppure un magnifico riparo sotto roccia dichiara il suo abbandono almeno dal primo dopoguerra (vedi immagine).
Anche in pianura lungo il “Fosso” i sentieri non ci sono più ma oltre ai reperti archeologici che potremmo definire “classici” si trovano anche blocchetti di ossidiana nera: chi li ha portati? non spuntano di certo dal nulla.
Molti, anzi troppi sentieri non ci sono più, ma un toponimo, un riparo sotto roccia, una baita diroccata, una corteccia con un nome inciso cinquant’anni prima (valle Asinina su di un faggio), una carbonaia, una incisione rupestre, un utensile in pietra o gli scarti per costruirli (Malzanni sul Monte Misma), un sentiero che compare e scompare nel nulla (Monte Avaro), una costruzione particolare (Monte Avaro), dimostrano che i sentieri formavano una rete fittissima ed estesissima. Cercare significa anche questo: intuire che in quel luogo vi può essere qualche cosa anche se apparentemente non riesci a passare (prima parte della valle Infernel). E’ in questo momento che metti a frutto tutta la tua esperienza: riuscire a vedere dove apparentemente non vi è nulla. Sono i momenti più emozionanti ma anche quelli più pericolosi: nessuno sa dove sei e nessuno se ti perdi ti potrà mai trovare.
I SENTIERI DELLA FEDE (da Monti Sacri a Sacri Monti)
Abbiamo parlato dei piccoli “oratori” presenti ormai come ruderi presso alcuni dei nostri valichi con la Valtellina, abbiamo accennato anche alle coppelle, anch’esse rappresentano, molto probabilmente, un’espressione di culto (in questo caso pagano), in molti borghi vallivi ma anche di pianura abbiamo importanti santuari mariani: tutti un tempo ovviamente raggiunti rigorosamente a piedi.
Anche il percorso religioso rappresenta fonte di ricerca. I pastori non scendevano certamente in valle per santificare la domenica, avevano i loro punti di incontro sempre in alta montagna: guarda caso, come i nostri preistorici predecessori.
Il santuario di Ardesio, nella ricorrenza del miracolo dell’apparizione vedeva la presenza anche di fedeli valtellinesi che per raggiungerlo però, valicavano il passo del Salto e scendevano lungo la valle del Brunone in sponda destra: il sentiero praticamente adesso non esiste più (molto tempo fa, nella parte alta misi alcuni ometti di riferimento).
In val Biandino,(Valsassina) il cinque di agosto, viene festeggiata la Madonna della Neve, (per inciso lo stesso giorno è festa anche a Savona ma la Madonna arriva dal mare) i fedeli principalmente sono della media valle (Introbbio e Primaluna) mentre altri arrivano da Premana attraverso la “Sponda” ed il così detto “Bus del Rat” impiegando diverse ore di cammino, tuttavia giungono egualmente anche se poi al ritorno si presenterà qualche problema: ogni festa diciamo, ha i suoi strascichi.
Ritornando in Liguria, nei boschi di Millesimo, ho cercato a lungo un masso coppellato, poi ho ceduto ed ho chiesto ai locali. Le coppelle sono espressione di fede e guarda caso, come ulteriore esempio di sovrapposizione storica, nei pressi sorge una bella cappelletta dedicata Sant Anna (purtroppo depredata). Il masso coppellato e la chiesetta sono posti all’incrocio delle vie del sale che dal mare raggiungevano la pianura torinese, ma non solo, ad un chilometro di distanza vi erano addirittura ben quattro Dolmen dei quali ne rimane in piedi uno solo: anche in questo caso passiamo dalla preistoria alle recenti autostrade muovendo solo pochi passi.
SAPER VEDERE
Il sentiero N° 101 in Alta Valle Brembana ha circa trent’anni. Per contrassegnarlo oltre ai numeri progressivi si è utilizzato lo storico tratto CAI bianco e rosso. Uno di questi segni è stato posto su di un masso nei pressi della torbiera di Cavizzola (da non confondere con l’omonimo alpeggio che è posto circa trecento metri più in basso). Su quel masso oltre al segnale bianco e rosso sono incise una serie di coppelle, dalla più grossa alla più piccola, che formano una spirale. (vedi immagine in alto sulla destra) Questo significa che in quel luogo da almeno due millenni i pastori svolgono lo stesso lavoro: nessuno se ne era mai accorto, neppure chi ha contrassegnato il sentiero stesso.
A metà del sentiero che da Lizzola conduce al passo della Manina vi è una baita. Per incomprensibili misteri geologici, visto che siamo in una zona di transizione fra calcare e conglomerato, sulla radura antistante la costruzione vi sono alcuni massi in “Sass Linguent”. Sul più grosso di questi massi vi è una grossa coppella con un canalino di scarico: un classico se fossimo in Valle Camonica o in Valtellina o in qualsiasi luogo preistoricamente caratterizzato delle Alpi, ma qui siamo in Alta Valle Seriana, dove notoriamente non esistono incisioni di sorta, tranne le croci confinarie incise solitamente su calcare o conglomerato. Il sentiero per la Manina passa leggermente più a valle per cui questa significativa testimonianza rimane costantemente del tutto inosservata.
Onorato Pesenti è una delle prime persone che mi ha introdotto alla preistoria brembana. Onorato un giorno stava percorrendo un sentiero in Valle Taleggio, vi era appena stato un temporale, lungo il sentiero era franata un poco di terra. Ad un certo punto Onorato si ferma di colpo: ha la pelle d’oca, davanti a lui scintilla una punta di freccia in selce, proprio nel bel mezzo del sentiero.
Osservare e saper vedere è un’arte, è un’abitudine, ci vuole allenamento, passione ma a volte è anche un’ossessione.
QUANDO LE PIETRE PARLANO
Un amico qualche tempo fa , dalle parti di San Giovanni Bianco nota un piccolo mucchietto di pietre, si tratta di ardesie, incuriosito dà un’occhiata, sotto le pietre trova un flauto preistorico ricavato da un’ osso di capra: probabilmente è il più antico rinvenuto in Europa.
Quando in un luogo geologicamente ben definito si individuano pietre di differente origine è sempre opportuno farsi qualche domanda ed agire naturalmente con la massima cautela.
ANNOTARE I DATI: UN DIARIO – DISEGNARE – FOTOGRAFARE – FILMARE
Per descrivere un territorio ho sempre utilizzato un’insieme di immagini commentate, così a secondo degli argomenti affrontati: storia, archeologia, ambiente, etnografia, ecc. sono nate un’insieme di presentazioni; un lavoro costante, metodico e prolungato nel tempo, ma non ho mai fatto almeno due cose: annotare le coordinate dei luoghi visitati e scrivere le sensazioni o gli aspetti salienti delle varie situazioni. In questo modo è rimasto molto ma per certi versi sarebbe a questo punto impossibile anche solo per il sottoscritto, riprendere la strada percorsa, specialmente per i lavori che ho svolto nel passato ma che non ho ancora tradotto.
Le moderne macchine fotografiche sono dotate di GPS e questa è un’ottima cosa ma non possono sostituire la buona volontà del trascrivere le varie esperienze che di volta in volta si accumulano.
Per il “Fosso” , non con poca fatica, ho tenuto un diario delle varie ricognizioni: sensazioni, aspetti del territorio, persone incontrate, impressioni suscitate, condizioni meteo, dubbi, ecc, ho annotato ogni cosa. Se non lo avessi fatto sarebbe andato tutto perduto, non avrei lasciato ai pochi volonterosi che un giorno a l’altro leggeranno quelle note, la possibilità di incontrare l’anima delle cose viste.
Se si ha la pretesa o il desiderio di trasmettere una informazione al giorno d’oggi occorre lavorare in maniera “professionale”, efficace e completa, ma questo richiede di certo anche molta pazienza e molta fatica, ma non vi è altra strada.
QUANTO TEMPO
Anni fa, con grande risalto sulla stampa, è stato presentato uno studio sintetico sulla linea Cadorna- tratto orobico, si trattava di quattro facciate stampate su due fogli di carta riciclata in formato A3. Le autorità in quell’occasione erano molte ed i bei discorsi non sono mancati: peccato che probabilmente forse, nessuno di quelle persone aveva mai messo piede almeno su di un tratto di trincea. A quel convegno ero andato per curiosità considerato che al sottoscritto lo stesso lavoro era costato tre anni di solitarie fatiche.
Quanto tempo dunque richiede una ricerca?: due anni per lo studio del Monte Misma, quattro per il fiume Serio, un’infinità di tempo per il Brembo, con la Valle Taleggio sto “litigando “ ancora adessone chissà per quanto tempo ancora.
A volte qualcuno mi chiede informazioni per svolgere una tesi, la prima domanda che rivolgo è sempre la stessa: quanto tempo hai? Per guadagnarsi la fiducia delle persone, per entrare effettivamente in contatto con il territorio, per cogliere qui particolari che rendono unica un’ esperienza, di tempo ce ne vuole molto.
Certo in alcuni casi occorre fornire un documento in tempi “giornalistici” ma questo a volte è possibile solo perché alle spalle vi è una vita spesa per il territorio.
DOVE
Ogni luogo è adatto per svolgere una ricerca, ogni luogo è particolare e per ogni luogo gli aspetti da approfondire sono infiniti, dipende da cosa si vuol raccontare.
Una persona a me molto vicina ha una raccolta infinita di immagini scattate dalla propria finestra: se ne potrebbe fare un libro, ogni attimo ha sempre qualche cosa di diverso così come ogni situazione, ogni persona, ecc., una storia può sbucare dal nulla, basta allenare costantemente la propria fantasia, la propria curiosità e la propria attenzione: nulla a questo mondo è scontato.
LE PERSONE
Una mattina mi recai a Dossena, avevo bisogno di informazioni sulle miniere. Mi fermai al termine del paese, abbassai il finestrino e chiesi. Il mio interlocutore era una persona anziana. Quella mattina non svolsi alcuna ricognizione. Parcheggiai la macchia, scesi e trascorsi diverse ore con quella persona: mi raccontò di tutto, anche della sua esperienza di guerra in Russia come alpino. Era tale la forza con la quale parlava di quelle terribili vicende che decisi di invitarla a Bergamo per parlarne ai ragazzi del gruppo A.G.
Al ritorno mi permisi di fargli una domanda che mi tormentava da anni, “mi scusi”, dissi, “quando ero in collegio a Treviglio, un Natale ormai lontano, ci avvisarono che un nostro compagno di quinta elementare non sarebbe più tornato, era morto. La commozione fra di noi ragazzi fu grande, sapevamo che abitava a Dossena ma non ci dissero cosa effettivamente gli era successo, per caso lei ne sa qualche cosa?”, “ Sì rispose, quel ragazzo era mio figlio e de è morto di meningite fulminate”
Lungo il “Fosso”, una mattina ho incontrato una persona anziana, si stava godendo un poco d’ombra lungo un filare d’alberi. Io ero titubante e lui a sua volta sembrava abbastanza perplesso, cosa ci faceva “uno straniero” da quelle parti. Ero appena passato dalla Caprera, (Morengo) e volevo raggiungere un altro gruppo di cascine delle quali mi avevano incuriosito i nomi: Paradiso, Inferno e Purgatorio. Chiarito cosa stava facendo “lo straniero” da quelle parti, il discorso iniziò ed anche in questo caso passai la mattinata ad ascoltare quella persona: “sa qui si incontrano quattro comuni e ai miei tempi si parlava solo il dialetto per cui non ci capivamo: loro, i milanesi, gli stessi oggetti li chiamavano in un certo modo e noi bergamaschi in un altro.”
Spesso ho incontrato persone che mi “hanno fatto perdere l’intera mattinata” ma se si vuol capire qualche cosa del territorio nel quale ci si trova a volte bisogna fare qualche rinuncia. Spesso queste persone raccontano le proprie esperienze a persone che non hanno mai visto: ma le varie situazioni nascono così in maniera spontanea e bisogna farne assolutamente tesoro.
Non sempre però le cose vanno per il meglio. A volte la propria visione del territorio non coincide con quelle dei locali e la cosa non è molto ben comprensibile. Un pomeriggio a causa della nebbia apposta di ridiscendere a Fuipiano, in valle Imagna, mi trovai in un bosco poco sopra Lavina, in Valle Taleggio. Incontrai dei boscaioli, già la mia salopette azzurra e blu contrastava con i loro abiti di lavoro ed anche il mio arrivo improvviso attraverso il bosco li lasciò abbastanza perplessi. “Scusate” chiesi, “ dovrei ritornare al Palio,“si, si” dissero” il Palio è di qua a destra ed il Resegone è di la a sinistra. Rimasi in silenzio per qualche secondo: io ero assolutamente certo che le cose stavano esattamente al contrario. Era tardi ed avrei potuto telefonare a mio padre dicendo che avevo sbagliato addirittura valle, ma l’orgoglio a volte gioca brutti scherzi.
Decisi ugualmente di ritornare sui miei passi, ma quali? Mi ero perso anche se ero estremamente sicuro di dove fosse il Resegone. Risalii il pendio aggrappandomi praticamente ai rami degli alberi, ad un certo punto mi trovai dinnanzi uno sperone roccioso attorniato da una cengia innevata: dovevo andare a destra o a sinistra? Decisi di seguire le orme di un capriolo che tagliavano a desta. Ben presto incominciai ad incontrare alcune fascine di rami, “sono sulla strada giusta” pensai e quindi decisi di fermarmi per cambiare gli indumenti ormai fradici: era gennaio e presto sarebbe calato il buio: spogliandomi presi una violenta congestione, arrivai non so come alla macchia, che vedevo oscillare davanti a me come Fuipiano stessa: stavo proprio male. Riuscii anche a tornare a casa, ero in condizioni disastrose ma avevo comunque una certezza: il Resegone era ancora al suo posto.
CON CHI
Avevo una mia idea sulla Val Goglio e la Val Sanguigno, ma mi occorreva un segno. Grazie ad una fortunata segnalazione trovai quel segno: una pietra coppellata poco distante dal fiume. Una sola pietra in tutta la valle individuata dopo tre anni di ricerche: nessuno mi avrebbe seguito così a lungo solo per un’idea. Qualcuno afferma che sono “un lupo solitario”, ma solitario è il tipo di “lavoro” che ho scelto: in tutta la bergamasca ormai gli appassionati di archeologia si possono contare sulle dita di una sola mano.
PERCHE’
Ognuno ha le proprie inclinazioni. Sarebbe come voler stabilire perché qualcuno decide di dedicarsi alla bicicletta mentre altri vanno ad arrampicare o a correre. Nell’ agosto del 1993 ero ad Upega, un piccolo paesino dell’entroterra ligure. Sul pendio vi era una baita, ormai aveva perso il tetto ed anche tutti gli infissi: attraverso una finestra si vedeva il cielo azzurro: è stata la mia prima immagine raccolta per documentare il territorio. In quella baita non si era utilizzato calce ma il legante delle pietre era terra. Ho iniziato così, cercando anche in bergamasca le baite costruite con la terra: una corsa ininterrotta ed estenuante che dura vent’anni.
IL MOMENTO MAGICO
è un momento particolare ma bisogna saperlo cogliere. Quando arrivi in un luogo, quel luogo non ti conosce e tu non lo conosci. Allora ti devi fermare e sederti su di un masso, su di un tronco o sul tuo stesso zaino. Aspetta che il “luogo” ti riconosca, ti accolga e si richiuda su di tè: quello è il momento magico. E’ quello dove gli insetti riprendono il progredire naturale, gli scoiattoli ritornano a saltare senza paura di ramo in ramo sopra la tua testa ed è il momento in cui un pettirosso torna al suo nido per portare il cibo ai sui piccoli.
Ancora una volta per trovare il “momento magico” occorre essere da soli, perché così come la natura si ricompone così anche l’uomo ha la possibilità di trascorrere qualche momento con se stesso.
DIVULGARE
Quando si sono raccolti: dati, teorie, documenti, testi, fotografie, oggetti, ecc. è il momento di condividere il tutto ed il lavoro si trasforma finalmente e necessariamente in attività di gruppo: una mostra, una conferenza, un convegno, magari un libro, una guida, o internet. È il momento durante il quale diverse persone o gruppi collaborano, si cercano gli sponsor ed un luogo dove proporre le varie attività. Terre Alte, il Serio, SIC 1 E SIC 2 , Il Brembo: con la Commissione TAM del CAI di Bergamo questo negli anni è accaduto piacevolmente diverse volte.
Ma attenzione. Agli inizi di questa attività, con Rocco Zambelli, (allora direttore del Museo di Scienze Naturali di Bergamo) individuammo in Valle del Lujo una serie di cippi confinali in conglomerato, trasportati appositamente in quel luogo, per distinguerli dalle pietre calcaree locali. Contemporaneamente un altro appassionato, consultando documenti antichi, scopriva che quei cippi riguardavano questioni di confine fra i territori dell’Abazia benedettina ivi presente e quelli del comune di Albino: i cippi risalivano al 1300.
Colti dall’entusiasmo della scoperta, pensammo di pubblicare un bell’articolo su L’Eco di Bergamo. Una volta pubblicata la notizia il primo di quei cippi, quello più grosso, (nella foto) del peso di almeno un quintale sparì e non fu più ritrovato. Purtroppo, a volte, il silenzio è il miglior modo per tutelare un bene storico o archeologico.
UNO SGUARDO GENERALE
Quando si inizia lo studio di un territorio solitamente si affronta un tema solo, tuttavia la persona non “speculativa” ma realmente interessata verrà trascinata da un turbinoso vortice che lo spingerà ad affrontare i più svariati temi. Il territorio non è formato dalle sole pietre o dalle sole case o dai soli pastori: un territorio è un’insieme infinito di cose in equilibrio fra loro.
È ovviamente necessario ed opportuno non perdere di vista lo scopo principale della propria ricerca, ma questo tutto che ci circonda ha bisogno di attenzione.
Non potremo certo sapere tutto di tutto: ma la sola attenzione per ogni singolo aspetto rappresenta già di per se un grosso passo avanti sia per il rispetto dei vari luoghi e situazioni ma anche nel confronto appunto di se stessi.
Sentirsi “abbracciati” dall’ambiente è una sensazione positiva, sentirsi uniti ad esso rinforza lo spirito, sapere in ogni istante cosa può offrire e considerare che vi saranno comunque sempre molte sorprese a mio avviso rende più sereni anche se a volte la via presenta alcune difficoltà
Il rispetto verso il territorio e la sua conoscenza praticamente agiscono entrambi come una “medicina”, che ci può aiutare in molti frangenti: di questo ne sono proprio convinto.
Auguri a tutti i cercatori
UN AMICO “CERCATORE”
Come esempio di quello che un appassionato può fare allego l’attività dell’amico italo Pucci di Genova. Certamante la Liguria è un territorio storicamente privilegiato ma altrettanto certamente ad Italo, la voglia di “Cercare” non manca di certo
Membro dal 1976 dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri (attualmente Rappresentante Scientifico della Sezione di Genova)
Ispettore Onorario per i Beni Archeologici (Soprintendenza Archeologica della Liguria)
ATTIVITA’ SVOLTE
- ricerca e studio delle incisioni rupestri e delle espressioni prodotte dal megalitismo nel loro contesto archeologico, ambientale e sociale
- ricerca e studio dei graffiti sui monumenti storici della Liguria
- collaborazione alla ricerca e studio delle incisioni rupestri con il Museo d’Arte Preistorica di Capodiponte di Valle Camonica
- ricerca e studio della viabilità antica con particolare riferimento alla Via Aemilia Scauri nella Riviera di Ponente e Via Postumia
- ricerca e studio dei “posti di guardia” della Sanità settecentesca in Liguria
- campagne di scavo della Soprintendenza Archeologica della Liguria quale volontario: anni 1979/1986 riparo di Alpicella (SV), direttore Dott. G.P. Martino
MOSTRE
- consulenza scientifica alla mostra “Pagine di pietra” (Genova, 1994)
- consulenza scientifica alla mostra “Da segno a segno” (Genova, 1995 e 1996)
- Mostra personale “I Posti di Guardia della Sanità settecentesca dei Commissariati di Albaro e Nervi”, Circoscrizione del Levante, Genova, 2004
- Mostra personale “I soldati di ventura a Genova attraverso i loro graffiti”, Genova, 2008
PUBBLICAZIONI (VOLUMI)
- Incisioni rupestri e megalitismo in Liguria, Priuli & Verlucca editori, Ivrea, 1994
- Culti naturalistici nella Liguria antica, Luna Editore, La Spezia, 1997
- I soldati di ventura a Genova attraverso i loro graffiti”, Genova, 2008
PUBBLICAZIONI (ARTICOLI)
- Nuove incisioni al Passo del Cerreto, in “Atti del Convegno sulle incisioni rupestri in Liguria del 1976”, Studi Genuensi 1982.
- Le incisioni della Grotta di Diana, in “Giornale Storico della Lunigiana”, XXVIII, 1983.
- I menhir dell’area millesimese, in “Atti del I Convegno Storico Valbormida e Riviera”, Millesimo, 1983
- Incisioni rupestri sul versante sud di Monte Beigua, in “Numero Speciale 1984 del “U Campanin Russu”, Varazze
- Roccia incisa a S. Pietro d’Olba, in “Atti del II Convegno sulle incisioni rupestri in Liguria” del 1985, Millesimo, 1989
- Nuove acquisizioni sulle rocce incise dell’Acquasanta, in “Atti del II Convegno sulle incisioni rupestri in Liguria del 1985”, Millesimo, 1989
- Dalla preistoria all’alleanza con Roma, in “Guerre e Guerrieri Genovesi”, Nuova Editrice Genovese, Genova, 1989
- Incisioni rupestri in Liguria, in “La cultura figurativa preistorica e di tradizione in Italia di A. Priuli”, Giotto Printer, Pesaro, 1991, pp. 1438-1455
- Roccia incisa in Val Maudagna (Cuneo), in “Survey” Bollettino del Centro Studi di Pinerolo, anni V-VI, n. 7-8, 1991-1992.
- Survey nel territorio delle Faje, in “Studi Genuensi”,Genova, 1992
- Masso con incavi coppelliformi a Piana Podestà, in “Studi Genuensi”, Genova, 1992
- I Fuochi di San Giovanni ieri ed oggi, Circolo Culturale Fegino, 1996
- Fate e streghe nell’archeologia, in “Presenze magiche in Liguria”, Luna Ed., La Spezia, 1996
- La presenza del sacro cristiano nelle incisioni rupestri, in “Il diavolo e l’acqua santa”, Erga edizioni, Genova, 1998.
- La Via Postumia, relazione in occasione della II Settimana per la Cultura, Genova, 2000
- Giochi sulla pietra nel Genovesato, in “Il paese dei balocchi”, Erga edizioni, Genova, 2001
- La donna in Liguria dalla preistoria all’ingresso nella storia, in “Meravigliosamente donna”, Erga edizioni, Genova, 2003
- Tracce di viabilità antica tra Voltri e Arenzano, in “Viabilità in Liguria tra I e VII secolo d.C:”, IISL, Bordighera, 2004
- I graffiti del Palazzetto Criminale, in Atti del Convegno internazionale di studi “Spazi per la memoria storica”, Genova, 2004
- I graffiti del Palazzo del Principe, in rivista “Archeologia Postmedievale”, Firenze, 2006
- I graffiti della Villa Centurione Doria di Genova Pegli, in rivista “Ligures”, Bordighera 2007
- Osservazioni sul Castelus Alianus della Tavola di Polcevera, in rivista “Ligures”, Bordighera 2009
- I graffiti di Palazzo Quartara, già Doria (Genova), in rivista “Ligures”, Bordighera 2010
- I graffiti della chiesa parrocchiale di Sessarego (Bogliasco-Genova), in rivista “Ligures”, Bordighera 2011