Spesso cerco di spiegarmi cosa sia l’alpinismo. Nell’ormai lontano 1975 con un articolo pubblicato sull’annuario CAI di Bergamo cercavo di dare una risposta, quelle erano le mie prime arrampicate ed anche l’anno in cui ho accompagnato la mia prima gita AG. Da allora sono cambiate tante cose ma la domanda resta, un lungo articolo di Bonicelli, del quale ne propongo una parte, spiega cosa sia questo richiamo verso il mondo verticale.
Piero Bonicelli – 1981 – storie di uomini e montagne – Ed. CEDIS 1983
“Forse l’alpinismo è un lusso troppo spesso colorato di immagini e di parole. Forse è solo nostalgia per il pionierismo, non consentita dai tempi moderni. Forse è un’esigenza di contatto fisico con la natura. Ognuno ha i propri gusti: a qualcuno piace sentire musica, a qualcuno piace dipingere, la gente è varia e tutto è importante. Anche nello sport: a qualcuno piace giocare a calcio, ad altri lo sci e così via. A noi piaceva andare in montagna.
Per spiegare che cosa si prova bisognerebbe forse essere pittori per dipingere non solo quello che vedi ma anche quello che senti. Noi alpinisti abbiamo il male che sentiamo le cose e non sappiamo esprimerle. Quindi, non è possibile dire cosa si sente nell’andare in montagna. Alla gente chiediamo solo di cercare di immaginare, facendo il paragone con quello che sente quando fa le cose che piacciono. Il fatto poi di scegliere gli itinerari sempre più difficili è subito spiegato. Quando si fa una nuova esperienza in qualsiasi campo, dopo aver superato una difficoltà, subito si è tentati di andare oltre, di provare una cosa un po’ più nuova, magari un po’ più difficile. Ma questo succede in tutte le cose. Se io avessi dovuto fare sempre le stesse cose, mi sarei stancato. Invece vi è la soddisfazione di scoprire cosa sta dietro una nuova difficoltà, provare un nuovo passaggio. E nell’arrampicarsi c’è tutta una serie di piccole soddisfazioni che possono essere quelle di vedere uno scorcio di montagna che non si è mai visto, il colore della parete e poi vuoi sempre arrivare in cima, per “vedere”. Forse qualcuno non ci crederà, ma in tutte le scalate che ho fatto in Presolana, non ho mai “visto” la montagna allo stesso modo. Forse non capita a tutti, ma anche dal paese, quando guardo la montagna, a me non appare sempre uguale: per esempio se non sto bene mi appare più brutta, grigia, anche in una giornata limpida.
La stessa cosa accade a tutte le persone del resto: quando si sta bene tutto sembra più chiaro e più bello. Si è più ottimisti nel valutare le situazioni. A me accade guardando la montagna. Un giorno, stavo lavorando a casa intorno a uno scavo per l’acqua. Mia madre doveva andare a un funerale in paese. Era un sabato e non so cosa mi avesse preso, so soltanto che non stavo fermo, ero agitato insomma. Lo so che qualcuno può non crederci: ma ci sono delle giornate e dei momenti così, in cui si è irrequieti senza motivo. E, se te lo chiedessero, non sapresti cosa rispondere. Mia madre è uscita di casa e mi ha lasciato solo: c’era quel funerale in paese e mia madre ci andava. Ho guardato la Presolana e sono partito: sono salito sopra Colere, ho fatto il canale delle Quattro Matte, il passo della Porta e quando la mamma è tornata dal paese ero di nuovo lì con la mia pala. Mia madre ha detto – ma sei ancora a questo punto? – e io ho risposto che il lavoro era più difficile di quello che avevo previsto.
Per queste cose è difficile spiegare alla gente che cosa si prova. A volte sembra che io abbia dentro di me due forze: una forza mi dice che non posso farcela, ma l’altra mi spinge ad andare. Per questo è difficile capire l’alpinista. Come sarà difficile capire altre cose, di altri lavori, di altri modi di divertirsi, di distrarsi. Alla montagna sento di dovere tutto, ho passato i momenti più belli della mia vita. Certo ci sono stati momenti brutti, come la tragedia sul Pukajirka” …”