La Valsassina è stata la mia giovinezza: frammista di avventure che forse i ragazzi al giorno d’ oggi non possono vivere più. Ho visto boschi, fiumi, ho raggiunto vette da solo o accompagnando adulti senza neanche rendermi conto della responsabilità che mi assumevo.
Ho passato diverse estati in Val Biandino assorbendo esperienze di montagna irripetibili. Tutti quei luoghi, quelle esperienze, tutte le persone che ho incontrato, i pericoli che inconsciamente ho vissuto si sono ben assestati dentro di me. Non avrei mai immaginato che molti anni dopo questo vissuto sarebbe riemerso facendomi rivivere le passate emozioni.
La passione per la storia e per la fotografia dunque non mi hanno solo aperto nuove strade ma spesso mi hanno riportato indietro nel tempo, nei miei ricordi, nella spensierata e semplice vita di un tempo aprendo anche un nuovo percorso all’interno di me stesso.
NB: le foto in bianco e nero appartengono all’archivio Bellomi per gentile concessione della figlia Armida Bellomi, una di esse mostra il rifugio Pio XI prima delle distruzione tedesche, siamo alla bocchetta di Trona dove esistono ancora i camminamenti e le postazioni delle mitragliere
PREMESSA
Quando si è lassù, in compagnia del vento, con l’animo in subbuglio per tutto quello spazio riempito di monti, è difficile riportare la mente alle sofferenze patite dai nostri soldati della guerra bianca del 15-18. Artesso, Lorla, Legnoncino, Legnone, Alpe Scoggione, Pizzo Rotondo, Bocchetta di Stavello e Colombana, di Trona, Verrobbio, San Marco, San Simone, Lemma, Tartano, Dordona, Publino, Caronella, Belviso, Venina, Venerocolo, Vivione, fanno parte della storia senza che la storia stessa vi si sia fermata perché questi luoghi pensati per la guerra, fortunatamente, guerra non ebbero.
Quegli eventi sono ormai lontani da noi, lontani dalla nostra mente e dal modo di vivere attuale: proprio per questo è opportuno riscoprirli e conoscerli. Bene si adattano a questo contesto, anche se riguardano un’ ambito più ampio, le parole di Ivo Mozzanica nella sua guida “Itinerari in Valsassina e Val Varrone”…Oltre che gratificante per la bellezza dell’ambiente, ripercorrere sentieri vecchi di secoli è emozionante se si ha la consapevolezza che gli stessi sono stati tracciati e ricalcati da generazioni di alpigiani ed hanno permesso la circolazione di manodopera e di tecnici per l’estrazione e la fusione di minerali, di mercanti con le loro merci, di pittori di immagini sacre e purtroppo anche di eserciti (ricordiamo i Lanzichenecchi dei Promessi Sposi o il riparo sotto roccia delle Baite di Sasso abitato sin dal 9000 aC.).
L’attenta osservazione delle tracce lasciate dall’ uomo accanto alla conoscenza dei vari aspetti naturalistici permetterà di recuperare un patrimonio di conoscenza da tramandare ai nostri figli….” parole che condivido perché non si può pensare al futuro nostro e degli escursionisti più piccoli senza far loro conoscere, in maniera opportuna, il nostro passato.
LA LINEA CADORNA
”Gli studi della Linea Cadorna risalgono addirittura al 1862, quando si ipotizzava la costruzione di fortini muniti di cannoni per bloccare tentativi di invasione lungo la dorsale Val d’ Ossola – Lago Maggiore – Ceresio -Lago di Como, con particolare attenzione alle vie dello Spluga e del Maloja. Nello stesso anno, a causa del cattivo stato in cui versavano le Regie finanze, si studiò un piano difensivo e si pensò di non tenere conto delle possibili offensive provenienti dalla Svizzera. Nel 1871 il progetto venne ancora inserito nei piani di difesa e rigettato per l’ultima volta nel 1882….I progetti furono costantemente ripresi ed accantonati fino al gennaio 1911, quando l’ufficio Difesa dello Stato formulò un nuovo schema di difesa alla frontiera svizzera lungo il saliente ticinese dall’Ossola alle Orobie….
All’inizio ci si preoccupò di predisporre lo sbarramento della linea Mera-Adda, con la costruzione tra l’altro del bellissimo Forte di Colico, tuttora in perfette condizioni. I lavori furono poi ampliati nel 1914.…. Nel settembre 1915 il generale Carlo Porro, sottocapo di Stato Maggiore teme la possibilità di un’invasione tedesca della Svizzera. Luigi Cadorna, Capo di Stato Maggiore, riprende il vecchio progetto del 1882 e, con opportune modifiche, ordina di allestire una complessa linea difensiva del confine svizzero con una rete di strade, trincee, fortificazioni che copriranno 72 chilometri…. i lavori vennero dati in appalto a parecchie ditte tra le quali molte varesine…vi erano osservatori, magazzini, caserme, comandi, opere di rinforzo delle pareti montane e ancora strade e sentieri per raggiungere le trincee: un’opera immane che prevedeva 88 appostamenti per batterie di cannoni (11 in caverna), 25.000 metri quadrati di baraccamenti, 296 Km di camionabili, 398 Km di carrarecce e mulattiere. Questo enorme lavoro fu compiuto da 20.000 operai e costò una somma paragonabile a 300 miliardi attuali.
L’organizzazione del lavoro e il reclutamento della manodopera dei lavori di difesa. …..Reclutare manodopera in tutte le regioni italiane, disciplinare il contratto di lavoro, coordinare l’esecutività della conseguente normativa, fu il compito che il Comando Supremo affidò ad un organismo appositamente istituito nel 1916, il Segretariato Generale per gli Affari Civili si avvalse della collaborazione delle Prefetture, dei Comuni e dei Comandi dei Regi Carabinieri. I requisiti per poter essere arruolati consistevano nel possedere la cittadinanza italiana, il passaporto per l’interno e i certificati sanitari; nell’avere un’età non inferiore ai 17 anni e non superiore ai sessanta; di essere muniti di indumenti ed oggetti personali.
Il contratto era diversificato a seconda dell’ente reclutante: l’amministrazione militare o le imprese private. Il contratto militare garantiva l’alloggiamento gratuito, il vitto uguale a quello delle truppe, l’assistenza sanitaria gratuita, l’assicurazione contro gli infortuni, un salario stabilito in relazione alla durata del lavoro da compiere, alle condizioni di pericolo e commisurato alla professionalità e al rendimento individuale. Il salario minimo era fissato, in centesimi, da 10 a 20 l’ora per donne e ragazzi; da 30 a 40 l’ora per sterratori, manovali e braccianti; da 40 a 50 per muratori, carpentieri, falegnami, fabbri e minatori; da 60 ad una lira per i capisquadra. L’orario di lavoro prevedeva da 6 a 12 ore giornaliere, diurne o notturne, per tutti i giorni della settimana. In conseguenza della ridotta disponibilità di manodopera maschile, per i frequenti richiami alle armi, vennero assunti anche ragazzi di età inferiore ai 15 anni con mansioni di manovali, guardiani dei macchinari in dotazione nei cantieri, custodi ed addetti alle pulizie delle baracche.
Il reclutamento di manodopera femminile, definito con apposito contratto, aveva carattere locale per permettere alle donne, mentre erano impegnate in un lavoro salariato, di poter badare alla propria famiglia e di occuparsi dei lavori agricoli. Le donne venivano principalmente utilizzate come portatrici per il trasporto dei materiali, di qualsiasi genere, dai siti di raccolta ai luoghi di utilizzo, come cuciniere e come conduttrici di carri. Una superiore scolarizzazione consentiva ad alcune di trovare impiego presso gli uffici amministrativi dei cantieri stessi. Tutto il personale venne dotato di un tesserino di riconoscimento con fotografia e dati anagrafici.
LA LINEA CADORNA NELLE OROBIE
Iniziati con strutture imponenti, i lavori sono poi continuati con materiali sempre più poveri fino ad arrivare nella bergamasca quando ormai la guerra era praticamente spostata sul fronte orientale. Ecco perché le nostre trincee sono solo in pietra”. Nella linea Cadorna l’Alta valle Brembana faceva parte del settore Mera-Adda che comprendeva Valchiavenna e Valtellina. L’intera area era presidiata dal 77°, 176° e 242° battaglione milizia territoriale, dalle compagnie alpine Morbegno (283°), Tirano (284°), Edolo (285°) e Vestone (286°), da quattro drappelli di alpini sciatori e dal 18° battaglione della Regia Guardia di Finanza.
Tutti i soldati dipendevano dal comando occupazione avanzata frontiera Nord che corrispondeva con la linea Cadorna. Il comando fu disciolto il 10 gennaio 1919, ma le nostre trincee erano rimaste sguarnite già parecchio tempo prima. Durante la guerra gli schieramenti rimasero compatti sino al maggio 1917, poi dalla Cadorna la fanteria di linea fu inviata al fronte e in sua sostituzione arrivarono sei battaglioni della Guardia di Finanza.
ITINERARI IN VAL BONDIONE
Sono posti quasi tutti sui crinali orobico-valtellinesi e quindi offrono escursioni in alcuni casi anche molto lunghe in ambienti severi ma esteticamente indimenticabili. Non si possono dare preferenze o consigli, ogni percorso presenta un approccio storico-geografico-ambientale particolare. In Val Varrone troviamo Artesso, i Roccoli Lorla con il Legnoncino, il Legnone, il Pizzo Alto con le bocchette di Stavello, di Colombana e spostata molto più a Nord quella di Trona.
Artesso, purtroppo quasi sempre in ombra, presenta una caratteristica singolare: le cannoniere sono “cieche”; chi sparava non vedeva il bersaglio, il tiro era parabolico ed il puntamento avveniva attraverso riferimenti trigonometrici fatti da osservatori posti ad una certa distanza dalla cannoniera stessa.
Breve, decisamente semplice ma panoramicamente molto appagante la salita al Legnoncino (m 1714) dai Roccoli Lorla; dalla cima la vista spazia sulla Valsassina, sulla Val Varrone sul Legnone, sul lago di Como e su gran parte delle Alpi svizzere. Da lassù si osserva anche il Pian di Spagna con i forti di Fuentes e di Montecchio (visitabile). Sulla cima del Legnoncino è situato anche un antico eremo, dedicato a S. Sfirio, del quale è descritta la storia, che spiega anche perché a metà della Valsassina, sullo sperone meridionale della Grigna, praticamente a picco su Pasturo esiste una chiesetta dedicata a San Calimero: lascio ai più curiosi la ricerca della insospettata risposta.
Certamente due giorni vanno dedicati alla traversata da Pagnona a Piantedo attraverso la mulattiera militare che sfiora la vetta del Legnone (m 2609): i disagi dei trasbordi automobilistici verranno sicuramente ripagati da un panorama che lascia senza parole. Anche all’escursione verso la Bocchetta di Trona andrebbero dedicati due giorni, via del ferro romana prima che via di guerra, l’itinerario permette deviazioni verso il Pizzo Trona (2510) o dei Tre Signori (m 2554), d’obbligo il pernottamento alla “Casera Vecchia” di Varrone.
Del tutto insolito è l’itinerario che da Premana (m 1000) attraverso la Bocchetta di Stavello, raggiunge il pizzo Rotondo (m 2496). Si tratta di cinque ore e trenta senza sconti. Una sorpresa attendere l’escursionista nella piccola frazione di Fraina, un tempo avamposto del mondo pastorale, che ora pur conservando le caratteristi di alpeggio ha comunque purtroppo perso la sua antica vocazione. Giunti in questo luogo il sentiero sembra terminare a ridosso di insuperabili e verticali barriere rocciose. Sebbene vi siano frecce indicatrici, pare proprio impossibile proseguire oltre: ci troviamo di fronte ad una eccelsa opera di ingegneria militare, ci attendono ancora 1200 metri di dislivello percorribili attraverso una tortuosa ed inverosimile mulattiera, il passaggio è sulla sinistra e sfrutta una cengia forse solo in parte naturale: del manufatto rimane percorribile a tratti il cordolo esterno e solamente raggiunta la vetta ci si renderà pienamente conto del percorso effettuato.
Itinerari sulle Orobie Bergamasche – Salmurano, Verrobbio, San Marco, San Simone, Lemma, Tartano, Dordona, Publino, Caronella, Belviso, Venina, Venerocolo, Vivione: come si può notare è egualmente ampio il ventaglio delle escursioni nelle nostre Orobie dove tutti i sentieri portano la numerazione progressiva C.A.I. Come i precedenti, gli itinerari raggiungono tutti lo spartiacque valtellinese, offrendo panorami decisamente accattivanti.
Lunghezza dei percorsi per ogni gamba, comunque nessuno da mettere in secondo ordine dal punto paesaggistico o storico: a volte basta anche mezzora di cammino per poter imprimere nella memoria ricordi difficilmente dimenticabili; è il caso ad esempio della visita al promontorio fortificato che troviamo poco oltre il valico di Ca San Marco, lasciando alla nostra destra il sentiero n° 101 che bordeggia il Pizzo Segade; il promontorio è solcato da un breve tratto di strada militare che raggiunge una postazione con galleria: si potrebbe rimanere in quel luogo per ore solo a guardarsi attorno.
Due giorni andranno comunque spesi per il tratto del “Sentiero Naturalistico Antonio Curò, che dal Tagliaferri raggiunge il Vivione: si tratta di un percorso per esperti che riassume tutto quanto di meglio la montagna nell’aspetto escursionistico, storico e naturalistico può offrire.
A questo punto occorre tuttavia aprire una parentesi: per le strutture della Linea Cadorna Orobica, salvo il lodevole esempio della “garitta” di Caronella e della baita al Publino, riadattate dal gruppo “Amici Escursionisti di Sorzatica- Dalmine, sino ad ora non si è fatto molto, sia dal punto di vista architettonico che storico. I valichi alpini sono stati frequentati sin dai tempi più remoti, per i “viandanti” prestorici erano addirittura sacri a tal punto che venivano lasciate offerte votive, da allora si sono susseguite e sovrapposte molteplici situazioni che andrebbero “rivalutate”.
Un buon esempio ci viene dagli studi “in corso d’opera” di Gianni Molinari, attuale presidente delle Sezione C.A.I Alta Valle Brembana. Molinari ha aperto un nuovo filone di studi, consultando mappe antiche (Archivio di Stato di Bergamo e Milano), da esse si evincono una quantità innumerevole di notizie fra le quali ad esempio la presenza, nei pressi di alcuni valichi, di chiesette altomedieovali ora distrutte: un esempio sicuramente da seguire e che necessiterebbe di maggiori contributi.
CONCLUSIONE
L’approccio” con la Linea Cadorna può costituire l’occasione per effettuare escursioni di ogni genere anche solo territorialmente connesse con essa, vedi ad esempio quella al tempietto di S. Fedelino (X – Novate Mezzola), la “Via del Viandante”, o le “alte vie Valsassinesi”. Sarebbe auspicabile effettuare anche un “gemellaggio” fra i due musei etnografici posti agli estremi di questo grandioso itinerario, quello di Premana e di Schilpario.
Per ovvii motivi di spazio, anche se a volte è bene saperne qualche cosa di più, non ho parlato delle infinite e complicate cause che portarono allo scoppio del primo conflitto mondiale, né delle figura a dir poco ed oltremodo “autoritaria” di Cadorna e del suo antagonista Orlando o della situazione politica di allora. Neppure ho accennato al notevole scontento dei soldati per lo più “agricoltori” manifestato nei confronti degli operai che “stavano al sicuro” nelle fabbriche.
Non ho fatto riferimento ai caduti avuti ad esempio, nelle dodici “spallate” dell’Isonzo (50.000 per scontro, il doppio per la dodicesima), a quelli di Caporetto, o del Tagliamento, o del Piave, oppure di quelli dovuti agli attacchi sugli altopiani di Asiago: ventimila per volta, o degli sbrindellamenti di uomini e muli sul Grappa e neppure, della “guerra bianca” che ha interessato gran parte delle nostre Alpi.
Dobbiamo anche ricordare che tutti questi luoghi furono teatro di scontri e distruzioni nel secondo conflitto mondiale fra il 43 ed il 45, con la perdita della gran parte dei rifugi alpini e di circa settecento baite fra Val Varrone, Valsassina e Val Taleggio. Inoltre quella del 15-18 sembra, per certi versi “storia dimenticata”: quanto rimane nelle nostre valli, forse è poco, ma dobbiamo ricordarci che molti tratti della nostra rete sentieristica esiste perchè “quella storia” e non solo quella è passata anche dalle nostre parti.
Un’ottima iniziativa, inoltre, è stata la creazione del sito internet www.linecadornaviadipace.it nato con l’intento di raccogliere il contributo di tutti gli appassionati, in esso si legge: …esistono luoghi che sono la “storia”, luoghi che fanno parte delle basi fondamento del nostro paese, che superano l’entità geografica dopo essere divenuti essi stessi storia……
esistono luoghi del cuore, quelli che non sono segnalati sulle cartine geografiche: li trova chi non segue i sentieri “conosciuti, ma cerca di andare oltre le apparenze e le consuetudini……Non possono esistere parole più belle per concludere, rimarcando che sicuramente per le nostre Orobie vi è ancora molto da fare!
Spunti ricavati da: La Linea Cadorna di Francesca Boldrini; La Linea Cadorna di Roberto Corbella; I silenzi della Val Brembana di Bruno Benassi. Altri siti internet: www.centroricerchearcheo.org , www.provincia.va.it/lineacadornavarese/it.